I dati del Rapporto Osserva Salute sul benessere e sulla qualità dell’assistenza medica nelle diverse Regioni rivela che siamo in coda negli investimenti per prevenire le malattie, che aumentano gli astemi, calano (di poco) i fumatori e soprattutto cresce il divario fra il nord e il sud nella speranza di vita
La durata della vita umana, la cosiddetta aspettativa di vita alla nascita, ha avuto una crescita veloce ed imponente negli ultimi decenni, fino a raggiungere oggi il traguardo degli 84 anni per la donna e 80 per gli uomini. Il fenomeno ha sempre affascinato gli studiosi, ma anche i cittadini, alla ricerca dei fattori che sottostanno a questo evento “meraviglioso”: molti anni di vita in più donatici rispetto alle generazioni precedenti.
I tecnici hanno individuato negli stili di vita migliorati la ragione di questo fenomeno, attribuendo alla medicina solo un terzo dei “meriti”; i cittadini, pur non arrivando ad alcuna conclusione, si sono particolarmente impegnati perché gli anni in più siano anni da vivere in autonomia. Questo scenario è cambiato in tempi recenti a causa di alcuni dati, che pongono molti interrogativi ancora non risolti sul rapporto tra aspettativa di vita alla nascita e condizioni di vita. L’Istat ha comunicato tra gli indicatori demografici del 2015 che l’aspettativa di vita alla nascita dei cittadini italiani è stata di 80,1 anni per gli uomini (dagli 80,3 nel 2014) e di 84,7 anni per le donne (dagli 85). Il fenomeno rappresenta la prima inversione di tendenza dopo decenni di aumento.
Quali potrebbero essere i fattori alla base della riduzione, seppur lieve, rilevata dall’Istat? Vi è un’area, difficile da indagare, riguardante la possibile variazione delle condizioni di salute indotta da fenomeni non quantificabili.
Infatti in questi anni sono avvenute alcune modificazioni dell’incidenza di malattie importanti; ad esempio, la demenza di Alzheimer è significativamente diminuita, senza che si possano dare spiegazioni certe, se non attribuirle ad un generico miglioramento delle condizioni di vita, tra le quali una migliore alimentazione, l’ambiente di lavoro, la casa, la cura delle malattie cardiovascolari, respiratorie, osteoarticolari, ecc.
Seguendo questo filone è difficile misurare un eventuale cambiamento recente di questi parametri, sia sul piano della vita in generale sia su quello della cura delle specifiche malattie. Più realistica, invece, può essere un’interpretazione del fenomeno attribuibile alla condizione generale di incertezza provocata dalla crisi economica, che ci ha colpito negli ultimi 8 anni, ma che inizia a mostrare i suoi effetti sulla soggettività degli individui solo più recentemente. È ben noto, infatti, come i timori per il futuro siano tra i fattori di maggior rilievo rispetto alla durata stessa della vita; il vedere buio nel proprio futuro induce frustrazione particolarmente in chi si sente più fragile a causa dell’età e delle malattie. In questo ambito esercita un forte ruolo il timore della povertà, sia realistico sia solo soggettivo.
Si conosce, infatti, sulla base di una letteratura indiscutibile, l’effetto negativo sulla salute esercitato da una tendenza al peggioramento dello status socio-economico di un individuo. Un’altra causa di rilievo della modificazione della spettanza di vita potrebbe essere la riduzione delle coperture delle spese mediche indotta dal complessivo ridimensionamento del servizio sanitario delle varie regioni. I ticket hanno limitato l’accesso alle cure (ma anche alle misure preventive) di una parte non irrilevante della popolazione, all’interno della quale gli anziani rappresentano una porzione significativa.
Anche se i dati non sono ancora in grado di offrire interpretazioni definitive, è ipotizzabile che l’astensione dalle cure si sia manifestata in maniera più rilevante nella fascia povera della popolazione che, quindi, subirebbe, oltre a quello soggettivo, lo stress oggettivo di una ridotta risposta ai suoi bisogni di cure. Meno rilevanti sembrano essere i problemi legati alle condizioni dell’ambiente, e, quindi all’inquinamento, anche perché il fenomeno è mondiale e, quindi, si vedrebbero gli stessi effetti sulla longevità anche in altre nazioni.
Non sappiamo come evolverà nel prossimo futuro la speranza di vita alla nascita. è, però, certo che si è interrotta una tendenza, che sembrava positivamente irreversibile e sulla quale si sono costruite molte narrazioni, la prima delle quali indicava che sarebbe stato merito prevalente della nostra sanità. Non sappiamo nemmeno come ipotizzare un cambiamento di tendenza, se verrà confermata anche nei prossimi anni; infatti non è possibile arrestare un fenomeno del quale non si conoscono le determinanti. Questo dato va letto assieme ad un altro altrettanto recente che riguarda gli USA: dal 1995 al 2014 l’aumento dell’aspettativa di vita dei cittadini di razza nera è stato più che doppio rispetto a quello dei cittadini bianchi.
L’aspettativa di vita dei maschi è cresciuta più rapidamente in ambedue le razze rispetto a quella delle donne. Ovviamente il dato positivo è la conseguenza del miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini americani di razza nera e di una loro maggiore possibilità di accesso ai servizi sanitari.
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